PROPOSTA DI LEGGE

Capo I
NORME IN MATERIA DI DISCRIMINAZIONE FONDATA SULL'ORIENTAMENTO SESSUALE E L'IDENTITÀ DI GENERE

Art. 1.
(Delitti motivati dall'odio).

      1. All'articolo 3, comma 1, lettera a), della legge 13 ottobre 1975, n. 654, e successive modificazioni, le parole: «o religiosi» sono sostituite dalle seguenti: «, religiosi o fondati sull'orientamento sessuale o sull'identità di genere».
      2. All'articolo 3, comma 1, lettera d), della legge 13 ottobre 1975, n. 654, e successive modificazioni, le parole: «o religiosi» sono sostituite dalle seguenti: «, religiosi o fondati sull'orientamento sessuale o sull'identità di genere».
      3. All'articolo 3, comma 3, della legge 13 ottobre 1975, n. 654, e successive modificazioni, le parole: «o religiosi» sono sostituite dalle seguenti: «, religiosi o fondati sull'orientamento sessuale o sull'identità di genere».
      4. La rubrica dell'articolo 1 del decreto-legge 26 aprile 1993, n. 122, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 1993, n. 205, è sostituita dalla seguente: «Discriminazione, odio o violenza per motivi razziali, etnici, nazionali, religiosi o fondati sull'orientamento sessuale o sull'identità di genere».
      5. All'articolo 3, comma 1, del decreto-legge 26 aprile 1993, n. 122, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 1993, n. 205, le parole: «o religioso» sono sostituite dalle seguenti: «, religioso o motivato dall'orientamento sessuale o dall'identità di genere».

 

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Art. 2.
(Rispetto per le minoranze nella scuola).

      1. Nelle scuole di ogni ordine e grado, nell'ambito dei corsi di informazione o di educazione sessuale che si svolgono, anche a titolo sperimentale, e nel corso dello svolgimento della normale attività didattica, è vietata ogni manifestazione di intolleranza, dileggio, disprezzo, discriminazione o colpevolizzazione fondata sull'orientamento sessuale o sull'identità di genere, in quanto traumatica o dannosa per lo sviluppo della personalità di scolari o studenti, nonché idonea a favorire il perpetuarsi di pratiche e di atteggiamenti discriminatori o intolleranti.
      2. Salvo che il fatto non costituisca reato, la vittima dei fatti previsti al comma 1 può agire in giudizio per il risarcimento dei danni patrimoniali e morali eventualmente subiti. La tutela giurisdizionale si svolge nelle forme previste dall'articolo 4 del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216, come da ultimo modificato dall'articolo 9 della presente legge.
      3. Del danno risponde direttamente l'istituzione scolastica nella quale i fatti si sono verificati, in solido con l'autore dell'atto, comportamento o prassi discriminatori.

Art. 3.
(Assicurazioni sanitarie).

      1. Nell'offerta di contratti di assicurazione sanitaria, nell'invito a proporne la stipulazione e nella loro negoziazione e conclusione sono vietati tutti i riferimenti, anche indiretti, e ogni indagine relativi all'orientamento sessuale o all'identità di genere dell'assicurando o dell'assicurato, qualora ne consegua un aumento dell'entità dei premi o una limitazione delle prestazioni assicurative rispetto a quanto generalmente praticato.
      2. La violazione del divieto di cui al comma 1 è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 euro a 50.000 euro.

 

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      3. Ai sensi del comma 2 dell'articolo 7-bis del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216, introdotto dall'articolo 13 della presente legge, sono nulle le clausole dei contratti di assicurazione sanitaria che facciano dipendere, anche indirettamente, dall'orientamento sessuale o dall'identità di genere dell'assicurato un aumento dell'entità dei premi o una limitazione delle prestazioni assicurative rispetto a quanto generalmente praticato. La nullità di tali clausole non comporta l'invalidità dei contratti che le contengono, la cui durata è prorogata di diritto a tempo indeterminato, salvo recesso o disdetta da parte dell'assicurato. La prescrizione dell'azione per la ripetizione di quanto corrisposto in eccesso dall'assicurato per l'intera durata del rapporto rimane sospesa fino al momento della cessazione del rapporto o fino alla presentazione della domanda di accertamento giudiziale della nullità delle clausole discriminatorie.

Art. 4.
(Diritto di asilo e divieto di espulsione).

      1. Allo straniero che possa essere perseguitato nel proprio Paese a motivo del proprio orientamento sessuale o dell'identità di genere lo Stato italiano riconosce il diritto di asilo nei termini e alle condizioni previste dalla legislazione vigente in materia.
      2. All'articolo 19, comma 1, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, dopo le parole: «di religione,» sono inserite le seguenti: «di orientamento sessuale,
di identità di genere,».

Art. 5.
(Discriminazione fondata sull'identità di genere).

      1. Le disposizioni di cui al decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216, come da

 

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ultimo modificato dalla presente legge, si applicano altresì alla discriminazione fondata sull'identità di genere.
      2. All'articolo 15, secondo comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni, dopo le parole: «orientamento sessuale» sono inserite le seguenti: «, sull'identità di genere».

Capo II
MODIFICHE AL DECRETO LEGISLATIVO 9 LUGLIO 2003, N. 216

Art. 6.
(Oggetto).

      1. All'articolo 1, comma 1, del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216, le parole: «disponendo le misure necessarie affinché tali fattori non siano causa di discriminazione» sono sostituite dalle seguenti: «disponendo le misure necessarie per la lotta alla discriminazione fondata sui citati fattori».

Art. 7.
(Nozione di discriminazione).

      1. All'articolo 2, comma 1, del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216, l'alinea è sostituito dal seguente: «Ai fini del presente decreto e salvo quanto disposto dall'articolo 3, commi da 3 a 6, il principio di parità di trattamento comporta che a causa della religione, delle convinzioni personali, degli handicap, dell'età o dell'orientamento sessuale non sia praticata alcuna discriminazione diretta o indiretta, così come di seguito definite:».
      2. Il comma 4 dell'articolo 2 del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216, è sostituito dal seguente:

      «4. L'ordine di discriminare persone a causa della religione, delle convinzioni personali, dell'handicap, dell'età o dell'orientamento sessuale e la ritorsione a

 

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una precedente azione giudiziale ovvero l'ingiusta reazione a una precedente attività del soggetto leso volta a ottenere il rispetto del principio della parità di trattamento sono considerati discriminazioni ai sensi del comma 1».

Art. 8.
(Ambito di applicazione).

      1. All'articolo 3, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «, indipendentemente dal ramo di attività e a tutti i livelli della gerarchia professionale».
      2. All'articolo 3, comma 1, del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216, dopo la lettera d) sono aggiunte le seguenti:

          «d-bis) protezione sociale, comprese la sicurezza sociale e l'assistenza sanitaria;

          d-ter) prestazioni sociali;

          d-quater) istruzione;

          d-quinquies) accesso ai beni e servizi e alla loro fornitura, incluso l'alloggio».

      3. All'articolo 3, comma 2, del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216, la lettera b) è abrogata.
      4. Il comma 3 dell'articolo 3 del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216, è sostituito dal seguente:

      «3. Nell'ambito del rapporto di lavoro o dell'esercizio dell'attività d'impresa, non costituiscono atti di discriminazione ai sensi dell'articolo 2 le differenze di trattamento basate su caratteristiche connesse alla religione, alle convinzioni personali, all'handicap, all'età o all'orientamento sessuale di una persona, qualora, per la natura dell'attività lavorativa o per il contesto in cui essa viene espletata, si tratti di caratteristiche che costituiscono un requisito essenziale, e determinante ai fini dello svolgimento dell'attività medesima, purché

 

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la finalità sia legittima e il requisito proporzionato».

      5. Il comma 4 dell'articolo 3 del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216, è sostituito dal seguente:

      «4. Sono, comunque, fatte salve le disposizioni che prevedono la possibilità di trattamenti differenziati in relazione all'età, riguardanti gli adolescenti, i giovani, i lavoratori anziani e i lavoratori con persone a carico, dettati dalla particolare natura del rapporto di lavoro e dalle legittime finalità di politica del lavoro, di mercato del lavoro e di formazione professionale».

      6. Il comma 5 dell'articolo 3 del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216, è sostituito dal seguente:

      «5. Non costituiscono atti di discriminazione ai sensi dell'articolo 2 le differenze di trattamento basate sulla professione di una determinata religione o di determinate convinzioni personali che siano praticate nell'ambito di enti religiosi o altre organizzazioni pubbliche o private la cui etica è fondata sulla religione o sulle convinzioni personali, qualora tale religione o tali convinzioni personali, per la natura delle attività professionali svolte da detti enti o organizzazioni o per il contesto in cui esse sono espletate, costituiscano requisito essenziale, legittimo e giustificato ai fini dello svolgimento delle medesime attività. Le differenze di trattamento di cui al presente comma non possono comunque giustificare una discriminazione basata su altri motivi».

      7. Il comma 6 dell'articolo 3 del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216, è sostituito dal seguente:

      «6. Non costituiscono, comunque, atti di discriminazione ai sensi dell'articolo 2, comma 1, lettera b), le disposizioni, i criteri o le prassi che siano giustificati oggettivamente da finalità legittime e perseguite attraverso mezzi appropriati e necessari».

 

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Art. 9.
(Tutela giurisdizionale dei diritti).

      1. Il comma 4 dell'articolo 4 del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216, è sostituito dal seguente:

      «4. Quando il ricorrente fornisce elementi di fatto, desunti anche da dati di carattere statistico, idonei a fondare, in termini precisi e concordanti, la presunzione dell'esistenza di atti o di comportamenti discriminatori in base alle caratteristiche di cui all'articolo 1, spetta al convenuto l'onere della prova sulla insussistenza della discriminazione».

      2. Il comma 6 dell'articolo 4 del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216, è sostituito dal seguente:

      «6. Il giudice tiene conto, ai fini della liquidazione del danno di cui al comma 5, che l'atto o comportamento discriminatorio costituiscono ritorsione o ingiusta reazione previste ai sensi del comma 4 dell'articolo 2».

      3. Dopo il comma 8 dell'articolo 4 del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216, è aggiunto il seguente:

      «8-bis. L'inottemperanza ai provvedimenti giudiziali di cessazione del comportamento discriminatorio e di rimozione degli effetti della discriminazione comporta il pagamento di una somma di 51 euro per ogni giorno di ritardo, da versare a favore dell'Autorità per la lotta alle discriminazioni».

Art. 10.
(Legittimazione ad agire).

      1. L'articolo 5 del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216, e successive modificazioni, è sostituito dal seguente:

      «Art. 5. - (Legittimazione ad agire). - 1. Fatte salve le misure più favorevoli previste dalla legge, le rappresentanze locali

 

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delle organizzazioni nazionali comparativamente più rappresentative a livello nazionale e le organizzazioni e le associazioni che hanno un interesse specifico a intervenire in giudizio in ragione degli interessi che rappresentano sono legittimate ad agire ai sensi dell'articolo 4, in nome e per conto del soggetto passivo della discriminazione, in forza di delega rilasciata per iscritto, a pena di nullità, o a suo sostegno, contro la persona fisica o giuridica cui è riferibile il comportamento o l'atto discriminatorio.
      2. Le rappresentanze sociali, le organizzazioni e le associazioni di cui al comma 1 sono, altresì, legittimate ad agire nei casi di discriminazione collettiva, anche nei casi in cui non siano individuabili in modo immediato e diretto le persone lese dalla discriminazione».

Art. 11.
(Dialogo sociale e con le organizzazioni non governative).

      1. Dopo l'articolo 5 del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216, come sostituito dall'articolo 10 della presente legge, è inserito il seguente:

      «Art. 5-bis. - (Dialogo sociale e con le organizzazioni non governative). - 1. Allo scopo di sostenere il principio di parità di trattamento, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con gli altri Ministri competenti, promuove la consultazione delle parti sociali e delle organizzazioni e delle associazioni di cui all'articolo 5.
      2. Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di intesa con le parti sociali e con le organizzazioni e le associazioni di cui all'articolo 5, promuove altresì il monitoraggio delle prassi nei luoghi di lavoro, delle norme contenute nei contratti collettivi di lavoro e nei codici di comportamento, nonché ricerche o scambi di esperienze e di buone pratiche, e adotta le misure necessarie per assicurare in tali ambiti il rispetto dei requisiti minimi previsti dal presente decreto.

 

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      3. Le regioni, in collaborazione con le province, i comuni e le associazioni di cui all'articolo 5, ai fini dell'attuazione delle norme del presente decreto e dello studio del fenomeno, predispongono centri di osservazione, di informazione e di assistenza legale per le vittime delle discriminazioni fondate su religione, convinzioni personali, handicap, età e orientamento sessuale».

Art. 12.
(Diffusione delle informazioni).

      1. Dopo l'articolo 5-bis del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216, introdotto dall'articolo 11 della presente legge, è inserito il seguente:

      «Art. 5-ter. - (Diffusione delle informazioni). - 1. Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con gli altri Ministri competenti e di intesa con l'Autorità per la lotta alle discriminazioni e con le parti sociali e le organizzazioni e le associazioni di cui all'articolo 5, adotta le iniziative necessarie alla diffusione delle informazioni sul territorio nazionale, anche mediante campagne informative in particolare sui luoghi di lavoro, allo scopo di assicurare che le disposizioni di cui al presente decreto siano portate all'attenzione dei soggetti interessati.
      2. Le iniziative di cui al comma 1 sono altresì adottate dalle regioni, in collaborazione con le province e con i comuni, tramite i centri di osservazione, di informazione e di assistenza legale previsti dal comma 3 dell'articolo 5-bis».

Art. 13.
(Disposizioni finali).

      1. Dopo l'articolo 6 del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216, è inserito il seguente:

      «Art. 6-bis. - (Disposizioni finali). - 1. Sono nulle tutte le disposizioni contrarie al principio della parità di trattamento di

 

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cui al presente decreto contenute nei contratti collettivi di lavoro, nei regolamenti aziendali, nei codici di comportamento e nei codici deontologici.
      2. Sono altresì nulle, ai sensi dell'articolo 1418 del codice civile, le clausole contrattuali contrarie alle disposizioni del presente decreto».

Art. 14.
(Modifica dell'articolo 10 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276).

      1. L'articolo 10 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e sostituito dal seguente:

      «Art. 10. - (Divieto di indagini sulle opinioni e trattamenti discriminatori). - 1. È fatto divieto alle agenzie per il lavoro e agli altri soggetti pubblici e privati autorizzati o accreditati di effettuare qualsivoglia indagine o comunque trattamento di dati ovvero di preselezione di lavoratori, anche con il loro consenso, in base alle convinzioni personali, alla affiliazione sindacale o politica, al credo religioso, al sesso, all'orientamento sessuale, all'identità di genere, allo stato matrimoniale o di famiglia o di gravidanza, all'età, all'handicap, alla razza, all'origine etnica, al colore della pelle, all'ascendenza, all'origine nazionale, al gruppo linguistico, allo stato di salute nonché ad eventuali controversie con i precedenti datori di lavoro.
      2. Non costituiscono atti di discriminazione le differenze di trattamento basate sulle caratteristiche di cui al comma 1 qualora, per la natura dell'attività lavorativa o per il contesto in cui essa viene espletata, si tratti di caratteristiche che costituiscono un requisito essenziale e determinante ai fini dello svolgimento dell'attività medesima, purché la finalità sia legittima e il requisito proporzionato.
      3. È fatto divieto di trattare dati personali dei lavoratori che non siano strettamente attinenti alle loro attitudini professionali e al loro inserimento lavorativo.
      4. Le disposizioni di cui al presente articolo non possono in ogni caso impedire

 

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ai soggetti di cui al comma 1 di fornire specifici servizi o azioni mirate per assistere le categorie di lavoratori svantaggiati nella ricerca di una occupazione».

Capo III

ISTITUZIONE DELL'AUTORITÀ PER LA LOTTA ALLE DISCRIMINAZIONI

Art. 15.
(Autorità per la lotta alle discriminazioni).

      1. È istituita l'Autorità per la lotta alle discriminazioni, di seguito denominata «Autorità». L'Autorità opera in piena autonomia e con indipendenza di giudizio e di valutazione.
      2. L'Autorità è istituita allo scopo di promuovere la parità di trattamento e di rimuovere le discriminazioni fondate sulla razza, sull'origine etnica, sulla religione, sulle convinzioni personali, sull'handicap, sull'età, sul sesso, sull'orientamento sessuale o sull'identità di genere, con funzioni di controllo e garanzia della parità di trattamento e dell'operatività degli strumenti di tutela a tale fine preposti, e ha il compito di svolgere, in modo autonomo e imparziale, attività di promozione della parità e di rimozione di qualsiasi forma di discriminazione fondata sulle cause sopra menzionate, anche in un'ottica che tenga conto del diverso impatto che le stesse discriminazioni possono avere su donne e uomini.
      3. L'Autorità è organo collegiale costituito da quattro componenti, di cui due eletti dalla Camera dei deputati e due dal Senato della Repubblica con voto limitato. I componenti sono scelti tra persone che assicurano indipendenza e riconosciuta competenza nelle materie giuridiche o nelle problematiche inerenti la parità di trattamento, garantendo la presenza di entrambe le qualificazioni.
      4. I componenti eleggono nel loro ambito il presidente, il cui voto prevale in caso di parità. Eleggono altresì il vicepresidente, che assume le funzioni del presidente in caso di sua assenza o impedimento.

 

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      5. Il presidente e gli altri componenti durano in carica quattro anni e non possono essere confermati per più di una volta; per tutta la durata dell'incarico il presidente e gli altri componenti non possono esercitare, a pena di decadenza, alcuna attività professionale o di consulenza né essere amministratori o dipendenti di enti pubblici o privati né ricoprire cariche elettive.
      6. All'atto dell'accettazione della nomina il presidente e gli altri componenti sono collocati fuori ruolo se dipendenti di pubbliche amministrazioni o magistrati in attività di servizio; se professori universitari di ruolo, sono collocati in aspettativa senza assegni ai sensi dell'articolo 13 del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382, e successive modificazioni. Il personale collocato fuori ruolo o in aspettativa non può essere sostituito.
      7. Al presidente compete una indennità di funzione non eccedente, nel massimo, la retribuzione spettante al primo presidente della Corte di cassazione. Ai componenti compete un'indennità non eccedente nel massimo, i due terzi di quella spettante al presidente. Le predette indennità di funzione sono determinate in misura tale da poter essere corrisposte a carico degli ordinari stanziamenti di bilancio.
      8. Alle dipendenze dell'Autorità è posto l'Ufficio dell'Autorità di cui all'articolo 17.

Art. 16.
(Compiti).

      1. L'Autorità, anche avvalendosi dell'Ufficio di cui all'articolo 17 e in conformità alla presente legge, ha il compito di:

          a) fornire assistenza, nei procedimenti giurisdizionali intrapresi, alle persone che si ritengono lese da comportamenti discriminatori, anche secondo le forme di cui all'articolo 425 del codice di procedura civile;

          b) svolgere, nel rispetto delle prerogative e delle funzioni dell'autorità giudiziaria, inchieste al fine di verificare l'esistenza di fenomeni discriminatori;

 

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          c) promuovere l'adozione, da parte di soggetti pubblici e privati, in particolare da parte delle organizzazioni e delle associazioni portatrici di interessi legittimi, di misure specifiche, ivi compresi progetti di azioni positive, dirette a evitare o compensare le situazioni di svantaggio connesse alle cause di discriminazione di cui al comma 2 dell'articolo 15;

          d) diffondere la massima conoscenza possibile degli strumenti di tutela vigenti anche mediante azioni di sensibilizzazione dell'opinione pubblica sul principio della parità di trattamento e la realizzazione di campagne di informazione e comunicazione;

          e) formulare raccomandazioni e pareri su questioni connesse alle cause di discriminazione di cui al comma 2 dell'articolo 15, nonché proposte di modifica della normativa vigente;

          f) redigere una relazione annuale per il Parlamento sull'effettiva applicazione del principio di parità di trattamento e sull'efficacia dei meccanismi di tutela, nonché una relazione annuale al Presidente del Consiglio dei ministri sull'attività svolta;

          g) promuovere studi, ricerche, corsi di formazione e scambi di esperienze, in collaborazione anche con le associazioni portatrici di interessi legittimi, con le altre organizzazioni non governative operanti nel settore e con gli istituti specializzati di rilevazione statistica, anche al fine di elaborare linee guida in materia di lotta alle discriminazioni;

          h) denunciare i fatti configurabili come reati perseguibili d'ufficio, dei quali viene a conoscenza nell'esercizio o a causa delle sue funzioni;

          i) esaminare le segnalazioni e provvedere sui ricorsi presentati dagli interessati o dalle associazioni che li rappresentano;

          l) esprimere pareri nei casi previsti.

      2. Il Presidente del Consiglio dei ministri e ciascun Ministro consultano l'Autorità all'atto della predisposizione delle norme regolamentari e degli atti amministrativi

 

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suscettibili di incidere sulle materie di competenza dell'Autorità stessa.
      3. Fatti salvi i termini più brevi previsti per legge, il parere dell'Autorità è reso nel termine di quarantacinque giorni dal ricevimento della richiesta. Decorso tale termine, l'amministrazione può procedere indipendentemente dall'acquisizione del parere. Quando, per esigenze istruttorie, non può essere rispettato il termine di cui al presente comma, tale termine può essere interrotto per una sola volta e il parere deve essere reso entro venti giorni dal ricevimento degli elementi istruttori da parte delle amministrazioni interessate.

Art. 17.
(Ufficio dell'Autorità).

      1. All'Ufficio dell'Autorità, al fine di garantire la responsabilità e l'autonomia ai sensi della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni, e del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, si applicano i princìpi riguardanti l'individuazione e le funzioni del responsabile del procedimento, nonché quelli relativi alla distinzione fra le funzioni di indirizzo e di controllo attribuite agli organi di vertice e le funzioni di gestione attribuite ai dirigenti.
      2. All'Ufficio dell'Autorità è preposto un segretario generale scelto anche tra magistrati ordinari o amministrativi.
      3. Il ruolo organico del personale dipendente dell'Ufficio dell'Autorità è stabilito nel limite di novanta unità.
      4. Con propri regolamenti pubblicati nella Gazzetta ufficiale, l'Autorità definisce:

          a) l'organizzazione e il funzionamento dell'Ufficio anche ai fini dello svolgimento dei compiti di cui all'articolo 16, tenuto conto delle specifiche esigenze relative alle singole cause di discriminazione;

          b) l'ordinamento delle carriere e le modalità di reclutamento del personale secondo le procedure previste dall'articolo 35 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni;

 

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          c) la ripartizione dell'organico tra le diverse aree e qualifiche;

          d) il trattamento giuridico ed economico del personale, secondo i criteri previsti dall'articolo 1 della legge 31 luglio 1997, n. 249, e successive modificazioni, e, per gli incarichi dirigenziali, dagli articoli 19, comma 6, e 23-bis del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, tenuto conto delle specifiche esigenze funzionali e organizzative. Nelle more della più generale razionalizzazione del trattamento economico delle autorità indipendenti, al personale è attribuito il medesimo trattamento economico del personale dell'Autorità garante per la protezione dei dati personali;

          e) la gestione amministrativa e la contabilità, anche in deroga alle norme sulla contabilità generale dello Stato, l'utilizzo dell'avanzo di amministrazione nel quale sono iscritte le somme già versate nella contabilità speciale, nonché l'individuazione dei casi di riscossione e utilizzazione dei diritti di segreteria o di corrispettivi per servizi resi in base a disposizioni di legge secondo le modalità di cui all'articolo 6, comma 2, della legge 31 luglio 1997, n. 249.

      5. L'Ufficio può avvalersi anche di personale di altre amministrazioni pubbliche, ivi compresi magistrati e avvocati dello Stato, in posizione di comando, aspettativa o fuori ruolo. Si applicano l'articolo 56, settimo comma, del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3, e articolo 17, comma 14, della legge 15 maggio 1997, n. 127.
      6. In aggiunta al personale di ruolo, l'Ufficio può assumere direttamente dipendenti con contratto a tempo determinato, in numero non superiore a venti unità ivi compresi il personale di cui al comma 5 e gli esperti e i consulenti di cui comma 8.
      7. Si applicano le disposizioni di cui all'articolo 30 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni.
      8. Nei casi in cui la natura tecnica o la delicatezza dei problemi lo richiedono, l'Autorità

 

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può avvalersi di esperti e consulenti esterni, i quali sono remunerati in base alle vigenti tariffe professionali ovvero sono assunti con contratti a tempo determinato, di durata non superiore a due anni, che possono essere rinnovati per non più di due volte.
      9. Gli esperti e i consulenti di cui al comma 8 sono scelti tra soggetti, anche estranei alla pubblica amministrazione, dotati di elevata professionalità nelle materie giuridiche, nonché nei settori della lotta alle discriminazioni, dell'assistenza materiale e psicologica ai soggetti in condizioni disagiate, del recupero sociale, dei servizi di pubblica utilità, della comunicazione sociale e dell'analisi delle politiche pubbliche.
      10. Il personale addetto all'Ufficio dell'Autorità e i consulenti sono tenuti al segreto su ciò di cui sono venuti a conoscenza, nell'esercizio delle proprie funzioni, in ordine ad atti o circostanze che non devono essere divulgati.
      11. Il personale dell'Ufficio dell'Autorità addetto agli accertamenti di cui all'articolo 20 riveste, in numero non superiore a cinque unità, nei limiti del servizio cui è destinato e secondo le rispettive attribuzioni, la qualifica di ufficiale o agente di polizia giudiziaria.
      12. Le spese di funzionamento dell'Autorità sono poste a carico di un fondo stanziato a tale scopo nel bilancio dello Stato e iscritto in apposito capitolo dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze. Il rendiconto della gestione finanziaria è soggetto al controllo della Corte dei conti.

Art. 18.
(Tutela dinanzi all'Autorità).

      1. L'interessato, persona fisica o giuridica, può rivolgersi all'Autorità mediante ricorso allo scopo di:

          a) rappresentare una violazione della disciplina in materia di parità di trattamento;

 

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          b) sollecitare un controllo da parte dell'Autorità sulla disciplina medesima;

          c) far valere i propri diritti in via alternativa a quella giurisdizionale, ottenere la cessazione della violazione della disciplina in materia di parità di trattamento e la rimozione degli effetti.

Art. 19.
(Ricorso).

      1. Il ricorso di cui all'articolo 18 contiene:

          a) l'indicazione per quanto possibile dettagliata dei fatti e delle circostanze su cui si fonda e delle disposizioni che si presumono violate;

          b) gli estremi identificativi del ricorrente, dell'eventuale procuratore speciale e della controparte, ove sia nota;

          c) le misure richieste.

      2. Il ricorso è presentato dall'interessato o dalle rappresentanze sociali, organizzazioni o associazioni cui la legge riconosce la legittimazione ad agire in giudizio e reca in allegato la documentazione utile ai fini della sua valutazione, nonché l'eventuale procura, e indica un recapito per l'invio di comunicazioni anche tramite posta elettronica, telefax o telefono.
      3. Il ricorso all'Autorità non può essere proposto se, per il medesimo oggetto e tra le stesse parti, è stata già adita l'autorità giudiziaria.
      4. Il ricorso è validamente proposto solo se è trasmesso con plico raccomandato, oppure per via telematica osservando le modalità relative alla sottoscrizione con firma digitale e alla conferma del ricevimento prescritte dalla legge, ovvero presentato direttamente presso l'Ufficio dell'Autorità.
      5. Il ricorso è inammissibile:

          a) se proviene da un soggetto non legittimato ai sensi del comma 2;

 

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          b) in caso di inosservanza delle disposizioni di cui al comma 3;

          c) se difetta di taluno degli elementi indicati al comma 1 salvo che sia regolarizzato dal ricorrente o dal procuratore speciale anche su invito dell'Ufficio dell'Autorità, entro quattordici giorni dalla data della sua presentazione o della ricezione dell'invito. In tale caso, il ricorso si considera presentato al momento in cui il ricorso regolarizzato perviene all'Ufficio.

      6. Fuori dei casi in cui è dichiarato inammissibile o manifestamente infondato, il ricorso è comunicato alla controparte entro tre giorni a cura dell'Ufficio dell'Autorità, con invito ad esercitare entro dieci giorni dal suo ricevimento la facoltà di comunicare al ricorrente e all'Ufficio la propria eventuale adesione spontanea.
      7. In caso di adesione spontanea è dichiarato non luogo a provvedere. Se il ricorrente lo richiede, è determinato in misura forfettaria l'ammontare delle spese inerenti al ricorso, poste a carico della controparte o compensate per giusti motivi anche parzialmente.
      8. Esaurita l'istruttoria preliminare, se il ricorso non è manifestamente infondato e sussistono i presupposti, l'Autorità, anche prima della definizione del procedimento, prende i provvedimenti necessari per la cessazione del comportamento o della prassi discriminatoria, ovvero finalizzati alla revisione delle disposizioni che violano il principio di parità di trattamento.
      9. Nel procedimento dinanzi all'Autorità, la controparte e l'interessato hanno il diritto di essere sentiti, personalmente o a mezzo di procuratore speciale, e hanno facoltà di presentare memorie o documenti. A tal fine l'invito di cui al comma 6 è trasmesso anche al ricorrente e reca l'indicazione del termine entro il quale la controparte e l'interessato possono presentare memorie e documenti, nonché della data in cui tali soggetti possono essere sentiti in contraddittorio anche mediante idonea tecnica audiovisiva.
      10. Nel procedimento il ricorrente può precisare la domanda nei limiti di quanto chiesto

 

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con il ricorso o a seguito di eccezioni formulate dalla controparte.
      11. Assunte le necessarie informazioni, anche mediante l'espletamento di perizia, l'Autorità, se ritiene fondato il ricorso, ordina alla controparte, con decisione motivata, la cessazione del comportamento illegittimo, indicando le misure, anche a titolo di risarcimento, necessarie a tutela dei diritti dell'interessato e assegnando un termine per la loro adozione. La mancata pronuncia sul ricorso, decorsi quarantacinque giorni dalla data di presentazione, equivale a rigetto.
      12. Se vi è stata previa richiesta di taluna delle parti, il provvedimento che definisce il procedimento determina in misura forfettaria l'ammontare delle spese inerenti al ricorso, posti a carico, anche in parte, del soccombente o compensati anche parzialmente per giusti motivi.
      13. Il provvedimento espresso, anche provvisorio, adottato dall'Autorità è comunicato alle parti entro dieci giorni presso il domicilio eletto o risultante dagli atti. Il provvedimento può essere comunicato alle parti anche mediante posta elettronica o telefax.
      14. In caso di mancata opposizione avverso il provvedimento che determina l'ammontare delle spese, o di suo rigetto, il provvedimento medesimo costituisce, per questa parte, titolo esecutivo ai sensi degli articoli 474 e 475 del codice di procedura civile.
      15. Avverso il provvedimento espresso o il rigetto tacito di cui al comma 11, le parti possono proporre opposizione con ricorso innanzi al tribunale. L'opposizione non sospende l'esecuzione del provvedimento.
      16. Il tribunale provvede nei modi di cui al decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216.
      17. In caso di inosservanza del provvedimento adottato dall'Autorità, il ricorrente o l'Autorità stessa, in nome e per conto, o a sostegno dell'interessato, possono adire il tribunale, che provvede nei modi di cui al comma 16.
      18. Chiunque, essendovi tenuto, non osserva il provvedimento adottato dall'Autorità, è punito con la sanzione amministrativa
 

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del pagamento di una somma da 4.000 euro a 24.000 euro.

Art. 20.
(Accertamenti e controlli).

      1. Per l'espletamento dei propri compiti l'Autorità può richiedere alle parti, o anche a terzi, di fornire informazioni e di esibire documenti.
      2. L'Autorità può disporre accessi a banche dati, archivi o altre ispezioni e verifiche nei luoghi ove si sono verificati gli atti, i comportamenti, le prassi discriminatori, o nei quali occorre effettuare rilevazioni comunque utili al controllo del rispetto della disciplina in materia di parità di trattamento.
      3. I controlli di cui al comma 2 sono eseguiti da personale dell'Ufficio dell'Autorità. L'Autorità si avvale anche, ove necessario, della collaborazione di altri organi dello Stato.
      4. Gli accertamenti di cui al comma 2, se svolti in un'abitazione o in un altro luogo di privata dimora o nelle relative pertinenze, sono effettuati con l'assenso informato del soggetto interessato, oppure previa autorizzazione del presidente del tribunale competente per territorio in relazione al luogo dell'accertamento, il quale provvede con decreto motivato senza ritardo, al più tardi entro tre giorni dal ricevimento della richiesta dell'Autorità quando è documentata l'indifferibilità dell'accertamento.
      5. Il personale operante, munito di documento di riconoscimento, può essere assistito ove necessario da consulenti tenuti al segreto ai sensi del comma 10 dell'articolo 17. Nel procedere a rilievi e ad operazioni tecniche può altresì estrarre copia di ogni atto, dato e documento, anche a campione e su supporto informatico o per via telematica. Degli accertamenti è redatto sommario verbale nel quale sono annotate anche le eventuali dichiarazioni dei presenti.
      6. Ai soggetti presso i quali sono eseguiti gli accertamenti è consegnata copia

 

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dell'autorizzazione del presidente del tribunale, ove rilasciata. I medesimi soggetti sono tenuti a farli eseguire e a prestare la collaborazione a tal fine necessaria. In caso di rifiuto gli accertamenti sono comunque eseguiti e le spese in tal caso occorrenti sono poste a carico del titolare con il provvedimento che definisce il procedimento, che per questa parte costituisce titolo esecutivo ai sensi degli articoli 474 e 475 del codice di procedura civile.
      7. Gli accertamenti, se effettuati presso la controparte, sono eseguiti dandogliene informazione. Agli accertamenti possono assistere persone indicate dalla controparte stessa.
      8. Se non è disposto diversamente nel decreto di autorizzazione del presidente del tribunale, l'accertamento non può essere iniziato prima delle ore sette e dopo le ore venti, e può essere eseguito anche con preavviso quando ciò può facilitarne l'esecuzione.
      9. Le informative, le richieste e i provvedimenti di cui all'articolo 19 ed al presente articolo possono essere trasmessi anche mediante posta elettronica e telefax.
      10. Quando emergono indizi di reato si osserva la disposizione di cui all'articolo 220 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, approvate con decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271.

Art. 21.
(Disposizioni finali).

      1. Gli articoli 7 e 8 del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 215, sono abrogati.
      2. L'Ufficio per il contrasto delle discriminazioni istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento per le pari opportunità è soppresso con effetto dalla data di inizio del funzionamento dell'Autorità, cui sono trasferite le competenze dell'Ufficio stesso.
      3. Alla destinazione del personale dell'Ufficio di cui al comma 2 si provvede con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri.

 

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Capo IV
MODIFICHE AL DECRETO LEGISLATIVO 9 LUGLIO 2003, N. 215

Art. 22.
(Oggetto).

      1. All'articolo 1, comma 1, del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 215, le parole: «disponendo le misure necessarie affinché le differenze di razza o di origine etnica non siano causa di discriminazione» sono sostituite dalle seguenti: «disponendo le misure necessarie per la lotta alla discriminazione fondata sulla razza o sull'origine etnica».

Art. 23.
(Nozione di discriminazione).

      1. All'articolo 2, comma 1, del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 215, l'alinea è sostituito dal seguente: «Ai fini del presente decreto, il principio di parità di trattamento comporta che a causa della razza o dell'origine etnica non sia praticata alcuna discriminazione diretta o indiretta, così come di seguito definite:».
      2. Il comma 4 dell'articolo 2 del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 215, è sostituito dal seguente:

      «4. L'ordine di discriminare persone a causa della razza o dell'origine etnica, e la ritorsione a una precedente azione giudiziale ovvero l'ingiusta reazione a una precedente attività del soggetto leso volta a ottenere il rispetto del principio della parità di trattamento sono considerati discriminazioni ai sensi del comma 1».

Art. 24.
(Ambito di applicazione).

      1. All'articolo 3, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 9 luglio 2003,

 

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n. 215, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «indipendentemente dal ramo di attività e a tutti i livelli della gerarchia professionale».
      2. Il comma 3 dell'articolo 3 del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 215, è sostituito dal seguente:

      «3. Nell'ambito del rapporto di lavoro o dell'esercizio dell'attività d'impresa, non costituiscono atti di discriminazione ai sensi dell'articolo 2 le differenze di trattamento basate su caratteristiche connesse alla razza o all'origine etnica di una persona, qualora, per la natura dell'attività lavorativa o per il contesto in cui essa viene espletata, si tratti di caratteristiche che costituiscono un requisito essenziale e determinante ai fini dello svolgimento dell'attività medesima, purché la finalità sia legittima e il requisito proporzionato».

      3. Il comma 4 dell'articolo 3 del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 215, è sostituito dal seguente:

      «4. Non costituiscono, comunque, atti di discriminazione ai sensi dell'articolo 2, comma 1, lettera b), le disposizioni, criteri o le prassi che siano giustificati oggettivamente da finalità legittime e perseguite attraverso mezzi appropriati e necessari».

Art. 25.
(Tutela giurisdizionale dei diritti).

      1. Il comma 3 dell'articolo 4 del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 215, è sostituito dal seguente:

      «3. Quando il ricorrente fornisce elementi di fatto, desunti anche da dati di carattere statistico, idonei a fondare, in termini precisi e concordanti, la presunzione dell'esistenza di atti o di comportamenti discriminatori in base alle caratteristiche di cui all'articolo 1, spetta al convenuto l'onere della prova sulla insussistenza della discriminazione».

 

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      2. Il comma 5 dell'articolo 4 del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 215, è sostituito dal seguente:

      «5. Il giudice tiene conto, ai fini della liquidazione del danno di cui al comma 4, che l'atto o comportamento discriminatorio costituiscono ritorsione o ingiusta reazione previste ai sensi del comma 4 dell'articolo 2».

      3. Dopo il comma 7 dell'articolo 4 del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 215, è inserito il seguente:

      «7-bis. L'inottemperanza ai provvedimenti giudiziali di cessazione del comportamento discriminatorio e di rimozione degli effetti della discriminazione comporta il pagamento di una somma di 51 euro per ogni giorno di ritardo da versare a favore dell'Autorità per la lotta alle discriminazioni».

Art. 26
(Legittimazione ad agire).

      1. L'articolo 5 del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 215, è sostituito dal seguente:

      «Art. 5. - (Legittimazione ad agire). - 1. Fatte salve le misure più favorevoli previste dalla legge, le rappresentanze locali delle organizzazioni nazionali comparativamente più rappresentative a livello nazionale e le organizzazioni e le associazioni che hanno un interesse specifico a intervenire in giudizio in ragione degli interessi che rappresentano sono legittimate ad agire ai sensi dell'articolo 4, in nome e per conto del soggetto passivo della discriminazione, in forza di delega rilasciata per iscritto, a pena di nullità, o a suo sostegno, contro la persona fisica o giuridica cui è riferibile il comportamento o l'atto discriminatorio.
      2. Le rappresentanze sociali, le organizzazioni e le associazioni di cui al comma 1 sono, altresì, legittimate ad agire nei casi di discriminazione collettiva, anche nei casi in cui non siano individuabili

 

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in modo immediato e diretto le persone lese dalla discriminazione».

      2. L'articolo 6 del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 215, è abrogato.

Art. 27.
(Dialogo sociale e con le organizzazioni non governative).

      1. Dopo l'articolo 5 del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 215, come sostituito dall'articolo della presente legge, è inserito il seguente:

      «Art. 5-bis. - (Dialogo sociale e con le organizzazioni non governative). - 1. Allo scopo di sostenere il principio di parità di trattamento, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con gli altri Ministri competenti, promuove la consultazione delle parti sociali e delle organizzazioni e delle associazioni di cui all'articolo 5.
      2. Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, d'intesa con le parti sociali e con le organizzazioni e le associazioni di cui al comma 1, promuove altresì il monitoraggio delle prassi nei luoghi di lavoro, delle norme contenute nei contratti collettivi di lavoro, nei codici di comportamento nonché ricerche o scambi di esperienze e di buone pratiche e adotta le misure necessarie per assicurare in tali ambiti il rispetto dei requisiti minimi previsti dal presente decreto».

Art. 28.
(Diffusione delle informazioni).

      1. Dopo l'articolo 5-bis del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 215, introdotto dall'articolo 27 della presente legge, è inserito il seguente:

      «Art. 5-ter. - (Diffusione delle informazioni). - 1. Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con gli altri Ministri competenti e di intesa con l'Autorità per la lotta alle discriminazioni e

 

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con le parti sociali e le organizzazioni e le associazioni di cui all'articolo 5, adotta le iniziative necessarie alla diffusione delle informazioni sul territorio nazionale, anche mediante campagne informative in particolare sui luoghi di lavoro, allo scopo di assicurare che le disposizioni di cui al presente decreto siano portate all'attenzione dei soggetti interessati.
      2. Le iniziative di cui al comma 1 sono altresì adottate dalle regioni, in collaborazione con le province e con i comuni, tramite i centri di osservazione, di informazione e di assistenza legale previsti dal comma 12 dell'articolo 44 del testo unico».

Art. 29.
(Disposizioni finali).

      1. Dopo l'articolo 7 del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 215, è inserito il seguente:

      «Art. 7-bis. - (Disposizioni finali). - 1. Sono nulle tutte le disposizioni contrarie al principio della parità di trattamento di cui al presente decreto contenute nei contratti collettivi di lavoro, nei regolamenti aziendali, nei codici di comportamento e nei codici deontologici.
      2. Sono altresì nulle, ai sensi dell'articolo 1418 del codice civile, le clausole contrattuali contrarie alle disposizioni del presente decreto».

      2. All'articolo 17, primo comma, della legge 11 luglio 1978, n. 382, come sostituito dall'articolo 26 della legge 24 dicembre 1986, n. 958, dopo le parole: «o sindacali» sono inserite le seguenti: «e all'orientamento sessuale».